Provo ad immedesimarmi nei panni dell’uomo primitivo, sorpreso dal gusto del dolce, quando sulla sua lingua si palesò per la prima volta la sensazione del gradevole e del sublime. L’antropologia della dolcezza è ancora agli albori. E’ un approccio alla storia dell’umanità che merita di assurgere a rango primario nella lunga vicenda umana. E qui casca l’asino! Per quanto ci riguarda, infatti, l’esordio in società della Guida “Dolce Puglia 2016” ci consente di aprire pagine inedite sull’attualità degli zuccheri nei moderni stili di vita e nell’economia dei territori. Nella nostra regione – ovvero nelle nostre tre sub-regioni confinate nella Daunia, la Iapigia e la Messápia – nei millenni il sentore dolce si deve innanzitutto all’uva, agli acini maturi, accarezzati da lungo soleggiamento. A queste latitudini il vino era bevanda pura, autentica. La lavorazione, infatti, non prevedeva grossolane manomissioni che ne alterassero il gusto come accadeva per consuetudine e per assecondare la richiesta dei mercati. In Puglia il vino era “merum”, cioè schietto, e questa certezza sopravvive nei nostri dialetti con sonorità diverse da provincia a provincia. Mi ha accompagnato nell’esperienza sensoriale e di conoscenza del cibo pugliese – modesta, venata di curiosità, di affetto per tutti coloro che, uomini e donne, sono interpreti della nuova temperie che contribuisce a fare della Puglia un’ interessante destinazione – la cospicua dottrina di Luigi Sada, cultore insuperato dell’enogastronomia regionale, scrittore prolifico di cose pugliesi pregne di cultura materiale. Gran conoscitore di storie correlate al gusto, emulo di quel Vincenzo Corrado, gastronomo salentino (autore nel 1770 de “Il cuoco galante”) a cui, a mio parere, dovrebbero dedicare busti commemorativi le scuole di cucina e della ristorazione in Puglia. I nostri chef e sommelier adulti ed affermati, come pure i giovani pervasi dal sacro fuoco di cucina o di cantina, costituiscono una comunità unica di umanità e di saperi. A cui affidare consapevolmente e convintamente il messaggio più efficace ed incisivo sulle sorti dell’economia pugliese che fonda sul gusto. E più colti e preparati saranno e meglio giungerà ai cinque sensi dei nostri ospiti la singolare percezione della pugliesita’. Insomma, alla divulgazione ed alla promozione dei nostri mari e del barocco, delle cattedrali e delle architetture in pietra secco (trulli ed antiche masserie), la riconosciuta capacità di porgere cibo e vino fungerebbe da “coupe de theatre”. In coda, ma indimenticabilmente, giungerebbero i nostri vini dolci, i passiti ed i moscati che da circa dieci anni la “Dolce Guida” si incarica di palesare mettendo in evidenza il “milieu” vitivinicolo pugliese: un comparto di grande dignità e di indiscusso decoro nell’enologia nazionale ed internazionale. A “quel vino dell’accoglienza e della festa” (come recita la dotta presentazione di Vincenzo Carrasso) dovremmo affidarci per cavalcare due-tre convinzioni: responsabilità e consapevolezza della grande cultura enologica pugliese; indovinati abbinamenti dalle forti potenzialità e di traino per il grande capitolo della pasticceria regionale; fondate speranze nell’ampliameto dei mercati domestici ed internazionali, alla ricerca di nuovi raffinati pubblici e consumatori attenti.