Moscati e moscatelli di Puglia
Nella millenaria, grande vocazione viticola regionale anche le varietà aromatiche, dall’aleatico ai rappresentanti delle grandi famiglie dei moscati e delle malvasie aromatiche, sono degnamente rappresentati nel vigneto pugliese. Anche se tra le 13 varietà moscato (11 da vino e 2 ad uva da tavola) coltivate risultanti dallo schedario viticolo nazionale compaiono ben 10 diverse varietà di moscato in Puglia, solo 3 e forse 4 di questi rivestono un ruolo storico e/o significativo in termini di superficie vitata e trasformazione nell’enologia regionale. Complessivamente sono coltivati con moscati 586,7 ettari (dati AGEA Schedario viticolo nazionale 2010) rappresentati al 72% da Moscato bianco (421ha), seguito da un 13% di Moscatello selvatico (76,3ha), 9% di Moscato giallo (52,1ha), 5% di Moscato nero di Acqui (27,4ha), 1% di Moscato rosa ed a seguire superfici quasi insignificanti inferiori ad 1 ettaro di Moscato di Terracina, Zibibbo e Moscato nero di Scanzo.
La varietà Moscato bianco, con i suoi sinonimi registrati di Moscatello e Moscato Reale, quest’ultimo utilizzabile sono per designare vini pugliesi, è da considerare uno dei vitigni nazionali a più grande diffusione. Esso concorre a produrre numerosi vini di qualità (1 DOCG, 28 DOC e ben 102 IGT) ed in Puglia, oltre che i tutte le 6 IGP, è l’unico moscato a rientrare nei disciplinari di produzione DOC, nel Moscato di Trani. Secondo molti originario della Grecia e molto diffuso fin dal tempo dei romani, il Moscato bianco, caratterizzato da elevata aromaticità, grappolo medio e abbastanza compatto, pur essendo molto diffuso, è uno dei vitigni più esigenti nei riguardi del terreno privilegiando suoli calcareo-tufacei. Non è quindi casuale come in Puglia abbia raggiunto la notorietà proprio sui terreni bianchi e ricchissimi di carparo della zona di Trani ove fin dal medio-evo si producevano vini pregiati apprezzatissimi dai mercanti veneziani. La ricchezza zuccherina (24-28 ° Babo) delle uve prodotte a Trani per l’omonimo vino moscato liquoroso, sono citate da Starita nel 1916 il quale tuttavia riporta di vinificazioni poco accurate con prodotto “spesso scadente e generalmente grezzo”. Anche le poche vigne superstiti che in passato producevano il ben noto Moscato di Novoli o Moscatedda, ottenuto con la vinificazione di uve appassite su graticci e legato alla tradizione di Sant’Antonio e della Focara, pur essendo stato erroneamente attribuite a Moscatello selvatico, sono state identificate come Moscato bianco, probabilmente attribuibile ad un particolare ecotipo locale. Il 50% del Moscato bianco si coltiva nelle attuali province di Bari e BAT nel comprensorio dei comuni di Minervino Murge, Andria, Barletta, Corato, Canosa ed appunto Trani e, come in tutta la regione, la superficie è tendenzialmente in aumento grazie alla grande richiesta di vini Moscato soprattutto IGT; segue la provincia di FoggIa, con quasi 150ha, quindi Lecce e Taranto con superfici inferiori ai 30ha.
Il Moscatello selvatico è invece l’unico tra i moscati a poter essere considerato a tutti gli effetti un autoctono pugliese come verificato da recenti studi genetico-molecolari che hanno individuato i genitori/parentali in Muscat blanc a petit grain (sin. di Moscato bianco) e Bombino bianco (Cipriani et al., 2010). Anch’esso conosciuto con svariati sinonimi riportati da Froio (Bullettino ampelografico 1875) (Moscadella, Moscadello a Barletta, Trani, Bisceglie, Corato; Ragusano a Bitonto; Moscato a Molfetta; Gerusalemme a Carovigno) per le caratteristiche di foglie e grappoli non può essere confuso con altri Moscatelli o Moscadelle conosciuti in altre province italiane. Il vitigno è vigoroso ed ha grappoli ed acini mediamente più grandi e più spargoli del M. bianco, minore aromaticità e produttività ma resa in mosto molto elevata grazie alla polpa succosa e molle. Il Moscatello selvatico è per il 90% coltivato in provincia di Bari nei terreni collinari, nell’ordine, di Ruvo (detiene il primato di superficie con 33 ettari), Bitonto, Corato, Terlizzi, Andria e Minervino Murge. Spataro nel 1928, in “la viticoltura nell’agro Barlettano e dintorni”, distingue nettamente il Moscatello selvatico dal “Moscatello”, utilizzato per produrre il Moscato di Trani, e ne cita l’impiego tradizionale “per la produzione di filtrati dolci bianchi, che sono discretamente ricercati in commercio”. Il moscatello nelle cantine sociali di Ruvo verrà anche per moltissimi anni vinificato secco in bianco, venduto sfuso ed apprezzato quasi esclusivamente dai consumatori locali.
Praticamente ubiquitario in Puglia, sparso con poche piante in moltissimi vigneti, è invece il Moscato giallo, anch’esso avente tra i sinonimi Moscatello. La varietà, sebbene abbia importanti caratteri di rusticità, resistenza ed adattabilità nelle condizioni di allevamento meridionali, non è mai stata realmente valorizzata tanto che non compare, oltre che in nessuna DOC ed IGP, neppure tra le varietà autorizzate alla coltivazione nei territori delle tre zone viticole in cui è distinta la Puglia. In Italia al contrario è una varietà importante (con ben 7 cloni omologati) base di 1 DOCG, 6 DOC e ben 30 diverse IGT (dal nord, al centro al sud in Sicilia). Vinificazioni sperimentali condotte dal CRSFA a Locorotondo a partire dal clone risanato e certificato CRSA – Reg. Puglia F38 ne hanno verificato la perfetta adattabilità alle condizioni pedoclimatiche locali nonché l’idoneità a produrre vini da uve stramature e/o passiti con caratteristiche eccellenti e particolari. I suoi grappoli si distinguono abbastanza facilmente per il colore giallo intenso anche dovuto ad una minore presenza di pruina rispetto agli altri moscati.
In base alle ultime ricerche genetiche sulle parentele e la possibile origine/diffusione della grande famiglia dei moscati la Puglia quindi ospiterebbe alcuni dei più importanti moscati che, a partire dal loro progenitore comune ovvero il Muscat a petit grains sinonimo di Moscato bianco (genitore del Moscato d’Alessandria, come del Moscatello selvatico), tra Medio Oriente, Grecia ed Egitto si sarebbero diffusi ed incrociati in tutto il bacino del Mediterraneo generando una la più grande famiglia di vitigni con caratteristiche aromatiche simili (appunto con aroma primario terpenico).
Tra i moscati ad uva da vino risulta infine di difficile interpretazione la presenza diffusa in tutte le province, seppur limitata in termini di superfici, dei due moscati neri di Acqui e Scanzo (entrambi tipicamente piemontesi). Non potendo escludere in molti casi, l’erronea attribuzione varietale, purtuttavia non c’è traccia di tradizione o citazione storica riconducibile alla vinificazione di questi vitigni in territorio pugliese. Potrebbe essere solo plausibile una limitatissima recente introduzione di uve moscato impiegate a livello quasi familiare per conferire sentori di moscato a vini rossi.
Anche nell’ambito del progetto “Recupero del Germoplasma Viticolo Pugliese” (PSR Puglia 2007/2014 Mis. 214 az. 4a) ed in particolare nell’attività di ricerca del germoplasma sul territorio ci si è imbattuti in numerose accessioni di Moscati, spesso potenziali biotipi/ecotipi locali di Moscatello selvatico o M. giallo o M. Reale, in altri casi con denominazioni locali tutte da verificare e frutto di distorsioni e/o errori di attribuzione. Come si evince dalla tabella delle accessioni di moscato caratterizzate e verificate nel Progetto attraverso ampelografia ed analisi del DNA, denominazioni sono state ricondotte ad un numero minore di varietà.
Una menzione a parte merita infine anche il Moscato d’Amburgo, localmente spesso ridenominato “Tamburro”, che seppur classificato come varietà ad uva da tavola dalle eccezionali caratteristiche organolettiche, ha un interessante potenziale enologico essendo normalmente utilizzato in altri paesi, come ad es. in Serbia, per la produzione di vini rosati eleganti e profumati, apprezzatissimi soprattutto dalla popolazione femminile. In Puglia, sebbene la varietà sia limitatamente coltivata in vigneti specializzati a tendone per il consumo fresco (soprattutto in Comuni del sud-est barese come Adelfia e comuni limitrofi) tradizionalmente in passato, soprattutto ad Acquaviva, Triggiano, Cassano Murge ed altri comuni circostanti, veniva piantato frammisto nei vigneti ed utilizzato in uvaggio (in piccole percentuali) con il Primitivo, conferendo un’ulteriore complessità aromatica ai suoi vini.
Mella prospettiva di proseguire la valorizzazione e differenziazione dei vini di qualità pugliesi anche i moscati, soprattutto Moscatello selvatico e Moscato giallo, sembrano davvero promettenti; a tal fine per l’impianto di nuovi vigneti è già disponibile dal 2010 il primo clone pugliese di Moscato giallo selezionato ad Acquaviva delle Fonti e, prossimi all’omologazione nei campi di confronto del CRSFA “Basile Caramia” a Locorotondo, il primo clone in assoluto di Moscatello selvatico ed un clone di Moscato Reale.
Pierfederico La Notte
Ricercatore del CNR Istituto per la Protezione Sostenibile delle Piante
Centro di Ricerca, Sperimentazione e Formazione in Agricoltura “Basile Caramia”, Coordinatore del Settore Viticoltura & Enologia