Il principe somaro. Virtù e successo del Susumaniello

di Roberto Lacarbonara

 

“Sue sue man YELL OH!”, sillabava Rebecca Murphy (wine writer, wine blogger) cercando di scandire il nome e ricordare la meraviglia di quel calice indimenticabile di rosso sorseggiato in Puglia (si trattava, per amor di verità, dell’Oltremè di Tenuta Rubino). Così accade che certi vini, ancora ignoti, finiscano sulla bocca dei wine lovers internazionali, mentre alcune piccole grandi scommesse dei vignaioli fanno commuovere e sorridere.
È solo uno dei tanti aneddoti celati tra le pagine avvincenti del nuovo libro di Giuseppe Baldassarre, Consigliere Nazionale Ais, dal titolo: “La metamorfosi del Susumaniello. Il somarello e la sua rivincita” (Editrice L’immagine, Molfetta, 2023). Nella grande sala delle cerimonie dell’Hotel d’Aragona di Conversano, lo scorso 7 luglio 2023 è andata in scena una vera e propria celebrazione del “piccolo principe” dell’enologia pugliese, un vitigno che reca nel nome la domesticità dell’animale fedele e silenzioso, quel somarello che, da tempo immemore, veglia sulle nostre campagne.

Alla presenza del Presidente regionale AIS Puglia, Giacomo Dambruoso, e del Presidente emerito, Vito Sante Cecere, la serata è stata condotta dal Delegato AIS Murgia, Vincenzo Carrasso, che ha raccontato la genesi di un evento ormai doveroso rispetto a un vino e ai suoi produttori illuminati che, non più di vent’anni or sono, hanno iniziato a scommettere su un autoctono quasi estinto dell’aria brindisina e della Valle d’Itria.

La relazione di Giuseppe Baldassarre è densa di sorprese, dalla profondità filologica e dalla sottile, umanissima sensibilità fatta di gesti, esperienze, tentativi, scommesse e successi. Una ricerca che parte da quella pietra miliare che è il “Tractatus de Vinea, Vindemia et Vino” di Prospero Rendella (1629), in cui si intravedono le tracce di una Cosmanella nigra nel Salento: un possibile antenato o soltanto una curiosa e depistante assonanza?
Ma è all’inizio dell’ottocento che, tra i severi censimenti del Regno di Napoli, si traccia la storia della Lagrima e del Zagarese (Oronzo Gabriele Costa, 1811) “sparsi quasicché da per tutto” nel vigneto salentino, dai quali discendono il Negramaro e numerose altre parentele del prestigioso vitigno pugliese. Mentre, in Terra di Bari, si fa largo un Somarello rosso e nero – siamo nella zona di Ruvo – che tuttavia si scoprirà tutt’altra cosa dall’odierno Susumaniello.

È il 1874 quando, per la prima volta, negli scritti di Perelli, trova spazio un Susomaniello e alcuni curiosi sinonimi: Cozzomaniello e Grismaniello; nei territori più vocati, nel centro Puglia, si incontrano vigneti dai filari alternati, dove il Susumaniello dimora accanto a Negroamaro e Malvasia: un trittico da cui emerge già evidente il tentativo di conciliare struttura (Negroamaro), profumo (Malvasia) e il colore tenace del nostro. Ma solo nel 1930 il piccolo somaro entra in un’etichetta, grazie all’imbottigliamento voluto dall’ammiraglio Granafei con la sua Castel Arquaro di Mesagne.E veniamo alla scena attuale, coadiuvata dalla ricerca scientifica e genetica, che non lascia molti dubbi sui motivi della segreta grandiosità di questo vitigno. La sua genealogia, infatti, risale niente meno che al grande vitigno reale dell’ampelografia italiana, quel Sangiovese che, originato dalle terre del sud – dove lascia tra i suoi eredi il Gaglioppo, il Frappato e il Perricone – ha fatto grande la storia mondiale del vino toscano.
Quella del Susumaniello è, tuttavia, una vicenda recentissima che riparte dopo la grande crisi degli anni 2000 quando, ai 900 ettari ancora presenti in regione negli anni ’70, si fa la conta di poche decine di filari. Almeno fino a quando l’enologo Pietro Giorgiani (Santa Barbara) decide di recuperare tre filari in agro di San Pietro Vernotico e mettere in commercio, nel 2002, l’etichetta “Sumanero” che, a dispetto della solida tradizione locale, capovolge le percentuali del blend a guida Negramaro, proponendo un bel 60% di Susumaniello nel ruolo inedito di protagonista. A questa scommessa segue quella di Gregory Perrucci (Accademia dei Racemi) e dell’enologo Roberto Cipresso che, a partire dal 2001, danno la stura al vitigno in purezza con l’etichetta “Sum”.

Da questo momento, l’onda di successo e apprezzamenti, nei confronti di un vitigno così versatile come il Susumaniello, appare inarrestabile. I rossi, i rosati, gli spumanti charmat e i metodo classico mostrano oggi un potenziale inesauribile, attraversando la penisola pugliese dalle alture della Murgia all’entroterra salentino, e sprigionando impensabili armonie tanto nelle terre calcareo-argillose del barese, quanto nelle sabbiose e saline rive ioniche e adriatiche. Una vera rivincita all’interno di un panorama tutt’altro che inerte, anzi assai dinamico, il cui unico rischio appare quello della rincorsa al “carro del vincitore”; anche per questo, la selezione dei 13 produttori presenti nella degustazione in sala, ha radunato i veri artefici storici e le storie di successo più recenti, tutti nel segno di una sorprendente qualità, anche in termini di longevità.

Una serata che, come nell’epigrafe del libro di Baldassarre, ha commosso ripetutamente rievocando la memoria dell’enologo Felice Tinelli, interprete quanto mai coraggioso di questa umile cavalcata a bordo di un somaro che lascia le sue impronte nella storia.

Apollonio 1870, Il Mamaà, Spumante brut S.A.

Le uve raccolte in lieve anticipo, nella periferia di Lecce a Monteroni, danno vita a questo charmat scintillante nella sua veste ramata, venata d’arancio, dal naso gentile con tocchi di lampone e mandarino, fiori di campo e una leggerissima nota di lievito. Nitida la freschezza, suadente e avvolgente, che converge su una beva sapida, portandosi dietro la scorzetta d’arancio e il finale gradevolmente amarognolo, fresco-sapido.

L’Archetipo, Susumante, Brut rosato 2021

Dalla singola fermentazione alcolica del metodo ancestrale e dalla macerazione prefermentativa a freddo, nasce la spuma morbida e le finissime bollicine di uno spumante dalla livrea luminosa, tinta di peonia e riflessi amaranto.
Olfatto generoso che attraversa violette e ciclamini, rammenta il maraschino e l’arancia sanguinella, con una punta attraente di lievito sul fondo. Al gusto, la verve salina apre a un frutto avvolgente; la compostezza e il nitore della beva si ricordano a lungo nella persistenza agrumata e nei piccoli frutti rossi del finale.

Tenute Rubino, Sumarè, Spumante Metodo Classico Brut 2015

Sin dal 2012, l’azienda brindisina punta su affinamenti lunghissimi di un metodo classico che ama sostare sui lieviti anche fino agli 84 mesi di questa riserva 2015.

Brilla di infiniti bagliori oro rosa nel bicchiere; al naso è ampio, generoso, con note soffuse di lampone, pesca sciroppata e mango, ma anche fiori secchi, alloro e una fragranza di pane imburrato, con lievi speziature dolci. La saporosità piena e un pizzico di astringenza del tannino fanno la bocca fresca e succosa che avvolge con decisa verticalità e un emozionante allungo sapido-marino.

Vignaflora, TreTomoliRosa, Puglia IGT 2022

Giunto alla sua 10a annata, questo vino nasce da un’azienda a totale vocazione Susumaniello, situata nel cuore della Murgia carsica a Noci, a oltre 300 metri sul livello del mare.
Come preannunciato nel nome di fantasia, il calice si illumina di rosa corallo dalle nuance cerasuolo e sprigiona all’olfatto una suadenza con note di confetto, fragola, pompelmo rosa, melograno e scie agrumate, in un finale di rosa canina e ciclamino. Gusto profondo, denso, di ciliegia, con una freschezza appagante.

Cardone, Castillo Susumaniello, Puglia IGP 2022

Nel cuore della Valle d’Itria a Locorotondo – terra vocata per il nostro vitigno – nasce un vino dai toni rosa pastello e fendenti ramati. Stupisce l’esotismo olfattivo che rimanda al litchi, circondato da sentori di pompelmo rosa, lampone e pesca bianca. In bocca è vibrante, tenace, con la sua sapidità salina in cui riverberano le note di erbette campestri in un lungo finale freschissimo.

Schola Sarmenti, Antieri, Salento IGT 2021

Dalla riviera ionica del Salento – siamo a Nardò – principia questo rosso poderoso, dal colore fitto carminio, in un’aura granata. Vera armonia sensoriale, all’olfatto esprime petali di rosa antica e pienezza di frutto: la ciliegia scura, la prugna, la carruba. Continua con speziature di vaniglia e chiodo di garofano, curiosi tocchi di ceralacca e incenso al sandalo. Palato carezzevole e vellutato, perfettamente levigato nel tannino, si distingue con sorso lungo, armonioso, di rara eleganza.

Santa Barbara, Sumanero, Puglia IGT 2018

Dalla sapienza di Pietro Giorgiani e delle due generazioni successive, si fa strada un vino dal colore carminio e granato, di spiccata trasparenza e luminosità.
La ciliegia, l’amarena sotto spirito e una ghirlanda di profumi floreali introducono a un naso ampio, sostenuto dal cioccolato fondente e dalla radice di liquirizia. Toni e sapori che tornano in bocca, dove il piccolo residuo zuccherino riporta alla mente la tradizione di un tipico vino made in Salento.

Vallone, Flaminio Susumaniello, Salento IGP 2020

La tenuta Flaminio e quella di Castel Serranova sono a pochi passi dalla Riserva di Torre Guaceto (BR), dove il vento adriatico sferza e accarezza i vigneti.
Nel calice, un perfetto equilibrio dei rossi carminio e granato, così lucenti, così vividi. Il frutto è maturo e netto nella sua trilogia di viola, mora di rovo e spezie dolci; mentre, in bocca, un tannino evoluto rende il sorso cordiale e lungamente persistente.

Candido, S, Puglia IGT 2020

La vicinanza ai due mari e le forti escursioni termiche determinano una lenta maturazione delle uve a San Donaci. Qui il monocultivar, che ha per titolo un’iconica “S” maiuscola, sprigiona un colore pienamente granato, ben evoluto, con una beva che conferma la pienezza del frutto maturo di ciliegia, incontra il cacao e la spezia pungente dei chiodi di garofano. La bocca gioisce della levigatezza carezzevole del tannino e della lunga persistenza che dimora su piacevoli note tostate.

 
Tenuta Viglione, Morso rosso, Puglia IGP 2020

Si sale di altitudine a circa 400 metri per un vino che, alla terza annata, conferma il potenziale inesauribile e la promessa di successo del monovitigno.
Nel calice, mostra la gioventù del tratto rubino e di effluvi amaranto, per poi procedere all’olfatto con un naso complesso, raffinato, di eleganza floreale nei toni di violetta e solanum, di frutta croccante: una ciliegia, un melograno.
Tessitura perfetta del tannino, con allungo piacevole e armonioso, per un finale fresco di glicine.

L’Astore Masseria, Susumaniello, Puglia IGP 2019

Prima di giungere nel calice, il vino dimora nelle vasche di cemento, nei tonneaux di rovere francese e, per circa 6/8 mesi, in anfora. Si fa strada con la sua lucentezza granata su rivoli carminio; offre il suo bouquet armonioso di ciliegia, marasca, fiori appassiti, tostatura, frutta secca e vaniglia.
Sorprendenti la freschezza, il tannino setoso e la sapidità agrumata, per un’esperienza non comune che rende memorabile la rotondità vellutata della bocca.

Leone De Castris, Per Lui, Puglia IGT, 2017

“Lui” è Leone De Castris, protagonista assoluto della grande enologia salentina, cui è dedicato questo vino da uve leggermente surmature, raccolte nel 2017. Agli occhi mostra una grande concentrazione di colore granato; il naso è evoluto, di prugna in confettura e caffè tostato, con note fumose di tabacco da sigaro. Gusto pieno, carnoso, masticabile; sontuosa la sua eleganza, celebrata da una stuzzicante persistenza della frutta secca.

Torreguaceto Felline, Sum, Puglia IGP 2017

Vino iconico e longevo, nasce dalla tenuta di Torre Guaceto dell’azienda manduriana Felline.

Fitto e impenetrabile, il suo rosso carminio sfiorato dal granato. Decisamente ampio e articolato l’olfatto, centrato su una ciliegia scura e carnosa, circondata da erbe aromatiche e balsamiche e da note di rabarbaro, tabacco e bacca di ginepro.
La beva è masticabile, densa, mentre il tannino, così levigato, avvolge e accompagna il sorso in una persistenza lunghissima, dal finale amaricante e sempre solido, tenace.