Densi, vellutati, dolci come il miele, nell’antichità rappresentavano l’élite dei vini e per tale motivo erano appannaggio degli aristocratici, dei ricchi, dei sacerdoti. Considerati alla stregua di medicamenti, si vedevano attribuire a ragione a o torto un lungo elenco di proprietà curative.
Orgoglio delle isole greche, delizia delle tavole romane, prodotti poi nei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo e sul mare Adriatico, si sono via via diffusi in tutte le aree geografiche dove è possibile vinificare. Ancora oggi l’Italia, compresi Meridione e Isole, è attraversata come da un filo dolce che percorre tutte le regioni, ognuna delle quali custodisce qualcuno di questi vini così speciali.
Bisogna ammetterlo, vi è oggi una certa disaffezione nei confronti dei vini dolci. Le ragioni sono molteplici, ma un primo elemento è chiaro: alcuni vini sono certamente dolci, ma lo sono in modo banale, goffo, scontato, stucchevole, svenevole, caricaturale. In essi la dolcezza predomina senza i giusti contrasti, compiace senza sedurre, ammicca senza affascinare, Definirli semplicemente vini dolci, quando invece sono ben fatti, può risultare invece riduttivo, perché ne sminuisce la ricchezza, la complessità organolettica, l’equilibrio, l’armonia.
Non a caso, l’indimenticabile Luigi Veronelli usava l’espressione dolci non dolci per definire splendidi vini, di solito passiti, capaci di stupire per la loro articolazione, di soddisfare per le giuste proporzioni, di meravigliare per la ricchezza e la perfezione delle loro risonanze sensoriali. In quei vini la dolcezza si compone, come in un affresco, con la giusta freschezza, con l’adeguata sapidità, con stuzzicanti tracce amarognole, con educati cenni tannici, con preziose sfumature derivanti dall’evoluzione e dall’eventuale sosta in legno.
Per i grandi vini dolci, per quelli che costano applicazione, fatica, pazienza, tenacia, per quelli che raccontano storia, tradizioni, luoghi, progetti, fatica e attesa c’è ancora spazio, ci sarà sempre spazio. Neanche la più profonda delle crisi potrà confinarli nell’oblio, cancellarne la memoria, annichilirne la forza e la vitalità.
Ogni lembo della nostra bella Penisola, a partire Sicilia e Sardegna e dalle regioni del sud, può vantarsi di qualcuna di tali etichette, vere e proprie estasi di bellezza. La Puglia non fa eccezione: anche la nostra regione è terra di vini dolci degni di questo nome. Penso a certi Moscato di Trani, a certi Moscatello Selvatico, a certi Minutolo, ma anche ad alcuni Fiano, Malvasia bianca; per non dire di qualche Primitivo, Aleatico, Malvasia nera, Negroamaro o Nero di Troia.
Continuare a parlarne, nonostante il vento contrario, nonostante il cammino in salita e le correnti avverse, testimonia il rispetto, l’ammirazione, la stima per l’opera di chi non molla, non demorde, non smette di credere che la Puglia del vino sarebbe più povera e più triste se fosse orfana di tali preziosità. Ma lo sarebbe anche l’Italia che può vantare una collezione di vini dolci fra le più ricche e variegate nel mondo.
Un’altra fonte di disaffezione credo sia rintracciabile nella rigidità degli abbinamenti e nella pigrizia nel cercare strade nuove, a volte per mancanza di fantasia o per la scarsa voglia di sperimentare. Di sicuro la dolciaria e la pasticceria pugliesi sono in grado di stupire per ricchezza, varietà e squisitezza e lo stesso dicasi per le produzioni casearie, ma è pur vero che il recinto di abbinamenti canonici e ampiamente codificati finisce per risultare angusto, limitante, costrittivo e persino asfissiante. È giunto sicuramente il tempo di mollare gli ormeggi, di dispiegare le ali, di osare nuovi accordi e creare linguaggi innovativi. Il mondo della gastronomia è profondamente cambiato in questi anni e certe logiche finiscono per non reggere più. La globalizzazione, la mescolanza delle culture gastronomiche, la destrutturazione dei menu impongono un profondo ripensamento anche di certi abbinamenti fra cibo e vino. Il vino dolce, il grande vino dolce, anche mediante opportune modulazioni delle temperature di servizio, può spostarsi a piacimento dal dessert all’antipasto, dalla fine all’inizio, dalla periferia al centro.
Purché siano dotati di forte personalità e di purezza espressiva, questi vini sono capaci di essere poliedrici, proteiformi, camaleontici, plastici, versatili, eclettici.
Non sono solo dolci e non si abbinano solo con i dolci.
Occorre lavorare per creare una nuova cultura che sappia apprezzare questi piccoli grandi capolavori enoici, eredi di nobili e antiche tradizioni e frutto di un grande lavoro che parte dalla vigna e prosegue in cantina. In questa direzione sembra quanto mai opportuna una sinergia, una grande alleanza fra aziende vitivinicole appartenenti a regioni diverse, ma accomunate dalla dedizione alla produzione di vini dolci. Lo scambio di idee e di esperienze e la condivisione di canali promozionali comuni, di comunicazione e di marketing potrebbe essere di enorme aiuto per riportare in auge questi vini troppo spesso dimenticati e sottovalutati. In questa direzione va letta e valorizzata la forza propulsiva di eventi come Dolce Puglia.
Giuseppe Baldassarre – Consiglio Nazionale AIS