“Lentamente, con molta fatica, iniziano a chiedermi “un buon vino” e non soltanto, come qualche anno fa, una bella confezione!”
Fa sorridere (e riflettere) la risposta che, appena pochi giorni fa, ho ricevuto dal titolare di una nota e storica enoteca pugliese.
Dopo molti anni trascorsi facendo la spola tra attività apparentemente distanti – quella del sommelier e quella dell’accademico alle prese con la cultura visuale e con le arti – credo che il percorso di conoscenza, consapevolezza e apprezzamento delle qualità organolettiche di un vino sia ancora molto esitante nella stragrande maggioranza dei consumatori pugliesi (ma decisamente più avanti rispetto a solo una decina di anni fa); quanto invece alla comune capacità di districarsi tra l’estetica e il prezzo – i due valori fondamentali nel processo di decision making individuale che predispone all’acquisto – questa appare di gran lunga più affermata e allenata nei consumatori, specie grazie alla straordinaria inflazione d’immagine che i media visivi garantiscono nella nostra epoca.
Quella del vino dolce, tra le tante categorie commerciali dell’ambito enogastronomico, è una delle vicende più complesse in quanto trattasi di una nicchia di mercato a tratti irrisoria o infinitesimale che, nonostante i secoli di storia e di fascino legati agli straordinari passiti in terra di Puglia, stenta ad affermarsi e a trovare il meritato riconoscimento.
Tra estetica del prodotto e qualità vi è tuttavia una continuità inscindibile e guai a pensare che il rafforzamento di uno soltanto degli asset commerciali possa bastare nell’equilibrio complessivo dell’offerta.
A partire dal 2016, Dolce Puglia ha ritenuto opportuno introdurre, tra le varie premialità conferite in occasione della giornata di presentazione dei vini dolci, il “Premio Migliore Etichetta” assegnato sui criteri dell’originalità, identità, territorio e creatività dell’immagine grafica scelta dal produttore per il proprio vino dolce.
Una scelta tutt’altro che occasionale o immotivata quella di Carrasso e del board della Delegazione Murgia, che ha voluto sottolineare la necessità di compiere uno sforzo congiunto non solo nel rafforzamento della produzione di qualità, ma anche nella capacità di impostare un visual marketing convincente.
La ragione di questa decisione nasce anche dal fatto che molti produttori dedicano un’attenzione estremamente marginale e residuale a questa tipologia di prodotto e, di conseguenza, anche alla sua veste grafica. Quasi che sia ritenuto sufficiente “adattare” un’etichetta per imbottigliare qualche migliaio di mezze bordolesi. Chi scrive può testimoniare la grande difficoltà incontrata, anno per anno, nel dover premiare un’etichetta davvero convincente.
Nelle scorse sei edizioni – ovvero da quando è stato introdotto il “Premio Migliore Etichetta Dolce Puglia” – ben quattro etichette su sei (Il Macàro di Cantina Fiorentino; Gryfus di Cantina Coop. Ruvo di Puglia; Mandoro di Cantine Lizzano; Es+Sole di Gianfranco Fino) hanno fatto ricorso a una elegante e sobria riproposizione su label del solo marchio aziendale. Una scelta di coerenza, identità e immediata riconoscibilità che, tuttavia, non nasconde una certa “timidezza” nella ricerca dell’unicità e della distinzione di un prodotto così diverso da tutti gli altri per le sue qualità produttive e organolettiche.
Una sola etichetta, il Boccadoro Moscato di Trani DOC dell’azienda Pandalà, vincitrice nel 2019, ha compiuto una scelta differente e molto interessante, sia nel naming – un riferimento al romanzo dello scrittore tedesco Hermann Hesse e al protagonista Boccadoro, artista dalla grande sensibilità e dallo spirito avventuriero – che nella soluzione grafica impostata sui colori pastello del rosa e del celeste, in un chiaro omaggio alla cattedrale di Trani (illustrata con gentile stilizzazione) e al suo mare quieto, il tutto in un atmosfera dai colori dell’alba che evoca una terra di Levante.
Se è vero che non bisogna mai “giudicare un libro dalla copertina” è tuttavia proprio quella visualità fatta di loghi, palette di colori, caratteri, elementi grafici e fotografici ad essere talvolta il solo riferimento per chi si accosta agli scaffali delle enoteche. È proprio per questo che un vino così esigente, ai confini con il mondo della meditazione e lontano dalle copiose mescite da banchetto, necessita della massima attenzione, volta a definire una personalità assolutamente distinta da tutto il resto.
Per quello che le neuroscienze raccontano sulle modalità di decisione di acquisto e, in particolare, sugli aspetti emozionali che guidano il consumatore a soddisfare il proprio impulso ancor prima dell’assaggio, sarà utile brevemente formulare alcuni consigli tecnici, privi di formule dogmatiche, ma significativi in termini di orizzonti di attese e paradigmi di selezione.
- Sensorialità doppia – Avete mai notato – o avete mai agito in tal senso – che chiunque di noi, di fronte a un’etichetta di vino, sente l’irresistibile esigenza di accarezzarne la carta, il vetro, soffermandosi sui rilievi, sulle ruvidità, sui riflessi delle lamine o degli embossing? È un aspetto istintivo che però racconta perfettamente quanto i materiali impiegati nella realizzazione delle etichette siano uno dei fattori centrali nel posizionamento e nell’attrattività del prodotto, al pari della vista e, quindi della presentazione grafica. Il tatto, dunque, proprio nell’epoca della virtualità e dell’immaterialità, torna ad essere assoluto protagonista. Un aspetto che, tuttavia, resta irrimediabilmente mortificato nel segmento della vendita online.
- Green marketing – Sono sempre di più le aziende vinicole che producono in modo biologico e sostenibile posizionandosi in modo strategico all’interno di un mercato sempre più attento a queste tematiche. L’etichetta non può essere indifferente agli sforzi fatti in vigna e il cantina; di conseguenza, un design moderno, capace di trasferire nei colori gli elementi della terra e della natura incontaminata, appare decisivo.
- Semplificazione – La scelta di soluzioni grafiche ispirate a modelli di comunicazione anglosassone – e frequentemente adottati nell’ambito del consumo culturale italiano, dalla musica alle arti, dal turismo alla tavola, si ripercuote sulla scelta di elementi semplici e stilizzati, persino astratti, con poche concessioni al lirismo barocco dei caratteri “con le grazie” stile partecipazione di nozze. Non si tratta di una “regola”, semmai di una evidente tendenza verso la nettezza e la rapidità, oltreché la distinguibilità dei singoli prodotti.
- Storia aziendale – Poche aziende in Puglia possono vantare una storia secolare. Molto spesso si tratta di eredità che risalgono a polverosi atti notarili ma che, di fatto, non raccontano quanto recente sia realmente la produzione di qualità nelle nostre terre. Tuttavia, le aziende più antiche che hanno davvero trovato nei decenni la loro costante affermazione sul mercato dovranno raccontare questo patrimonio in ogni etichetta e soprattutto su quelle dei vini dolci, la cui storia esonda dal localismo per aderire a una “matrice mediterranea” e soprattutto meridionale, guardando con particolare attenzione al fascino e al prestigio dei vini del basso Adriatico, dalla Grecia alla Sicilia.
- Invenzione e dedizione – Sebbene molte aziende siano perfettamente consapevoli della necessità di gestire differenti linee produttive per venire incontro a differenti target del mercato (dalle più ristrette nicchie dei wine addict alla GDO) quella del vino dolce è sicuramente un’esperienza dedicata a consumatori attenti, con buona capacità di scelta, di analisi e di spesa. Consumatori che, molto spesso, sanno migrare nella rete del marchio aziendale quando attratti anche da uno soltanto dei prodotti di cui hanno fatto esperienza. Insomma, il vino dolce deve essere pensato come uno strategico, raro e sublime biglietto da visita, consegnato in mani affidabili e pertanto merita attenzione, investimento, dedizione, creatività e invenzione in ogni fase produttiva, fino a quel momento magico che segna l’incontro, la prima volta e la “prima vista” tra gli scaffali di un’enoteca.
Roberto Lacarbonara – Docente AIS Puglia e Professore universitario