di Roberto Lacarbonara
“La potenza è nulla senza controllo”, recitava un celebre spot di pneumatici, quasi trent’anni fa. Un payoff che sembra perfettamente definire anche il profilo e la personalità di alcuni vini di straordinaria energia, vigore, struttura ma anche asperità e imprevedibilità, su cui soltanto il continuo perfezionamento della tecnica e della ricerca può garantire equilibrio ed eleganza. È il caso dell’Aglianico del Vulture e dell’incredibile successo internazionale di Elena Fucci, tra le aziende più capaci di esprimere il rinnovamento e l’affermazione di un vino, di un territorio e di un intero immaginario legato alla cultura enoica meridionale.
Vulcanico è un aggettivo sin troppo facile per vini così, dal carattere franco, immediato, schietto, profondamente legati alla terra e a quello che il vulcano ha generato in secoli di metamorfosi piroplastiche. Ma è solo l’indizio di una più ampia complessità, di una vera e propria “ideologia del fare” che investe soprattutto chi pratica e conosce questi luoghi con passione autentica e incessante slancio verso l’eccellenza.
Venerdì 29 aprile 2022, nella cornice di Masseria Mofetta ad Acquaviva delle Fonti, l’AIS Murgia ha ospitato i vini e il racconto di Elena Fucci, reduce dal recente riconoscimento di “Iconic Woman in Italian Wine” insignito nel corso del Vinitaly 2022 da Monica Larner di “Wine Advocate” e Alison Napjus di “Wine Spectator”. Un titolo che inorgoglisce doppiamente l’intera regione lucana grazie a una rappresentatività, tutta al femminile, che accosta Fucci a brand secolari come Antinori, Foradori o Sassicaia, per citare solo alcune delle 7 prime donne italiane del vino.
Un risultato che sembra racchiudere le scommesse di oltre vent’anni di sperimentazioni condotte lungo la dorsale della “montagna”, declinata dai suoi abitanti al femminile quando esprime prepotenza, insidia e veemenza, come fosse un’antica dea che sa essere benevola e funesta.
Dove la provincia di Potenza sconfina verso la Campania, tra le terre federiciane di Melfi e Ripacandida, l’Aglianico ha trovato sede elettiva in ben sedici comuni, un areale troppo vasto per raccontare univocamente questo vitigno e questo lembo dell’alta Basilicata. La storia dell’azienda di Barile ruota attorno al carattere e alle scelte di Elena, sin da quando nel 2000, appena maggiorenne, impediva ai suoi genitori di vendere i vigneti del nonno Generoso e il suo cascinale prendendo su di sé la responsabilità di condurre a nuova vita quel patrimonio inestimabile. Da allora, gli studi di enologia si avvicendano alle prime piccolissime produzioni con l’insistenza su quel solo e unico “Titolo”, nome di un vino che declina la contrada Solagna del Titolo – letteralmente “bagnata dal sole” – dove sorge ancora oggi il cuore della cantina.
Ma la storia di una donna si intreccia con quella millenaria del Vulture, sin dalla più antica eruzione di 800 mila anni fa che dava vita al cratere del Lago piccolo e alla porzione deflagrata di montagna del Lago grande di Monticchio. Per giungere poi alla configurazione attuale, quella dovuta ai sommovimenti della più recente eruzione di 130 mila anni fa che ha ridefinito la conformazione dei suoli e del paesaggio.
Muovendo tra i sentieri montuosi, a circa 600 metri s.l.m. dove sono i 6 originali ettari della tenuta di Famiglia Fucci, è possibile scorgere con chiarezza la progressiva stratificazione delle rocce, a partire dai terreni rossi e blu, ferruginosi, rivolti a sud-est verso la Puglia, per divenire poi terre d’ocra, sulfuree, intorno a 300 e 400 metri, via via fino ai suoli grigi e scuri di lapillo e cenere nel poggio che ospita Barile e Rapolla, dove sono le vigne più vecchie e d’altura.
In questa che la Fucci ama definire una “macchina perfetta” – dove il terreno igroscopico drena le acque piovane cedendo mineralità per poi immagazzinarle nelle profondità calcareo-argillose e restituirle in tempi d’arsura (senza tralasciare il ruolo fondamentale delle acque sorgive che il Vulture assicura) – il viticoltore ricerca il suo quotidiano confronto e scontro con la realtà, affrontando un vitigno che ama la tentazione della vigoria e dell’eccesso. Qualità mal governate nel dopoguerra, quando le uve di Aglianico, ritenute puramente “migliorative”, prendevano la strada del Veneto e del Piemonte.
Sebbene spesso inseguendo una strada solitaria e ostinata, Elena Fucci ha saputo concentrare le sue attenzioni su tre parole-chiave del suo grande Aglianico: l’acidità di un vino di montagna; la mineralità di un suolo ricchissimo e compatto; la tannicità di ogni indimenticabile incontro organolettico col grande rosso lucano.
La degustazione dei vini Fucci – condotta da Vincenzo Carrasso, Delegato AIS Murgia, e da Giuseppe Baldassarre – ha rappresentato un rarissimo privilegio, tra mini-verticali e scoperte avvincenti lungo un percorso di ben 10 etichette, alternando climi e annate diverse, dalle più calde e poderose del 2019 o 2017 a quelle più fredde, continentali e raffinatissime del 2018. Anni in cui l’azienda ha saputo affermarsi nella conduzione di un’impresa biologica a ciclo chiuso, dove trovano massimo equilibrio terra, vegetazione, animali e uomini.
TITOLO PINK EDITION. Basilicata Rosato IGT
2021, 12,5 % vol.
Tra i nuovi nati di casa Fucci – a partire dal 2020, da viti giovani di 7 anni – questo rosato dal colore acceso, quasi fucsia, ammaliante e seducente, proviene dalle prime uve che a inizio ottobre lasciano il vigneto per giungere in cantina, molto prima del “Titolo”, fratello nobile. Sosta in acciaio per due giorni di premacerazione con ghiaccio secco, pratica utile all’estrazione di terpeni oltre che per conferirne un alto punto colore.
Chiaretto per definizione, luminoso e trasparente. Al naso la sua firma di granatina al maraschino si circonda della florealità di iris e violetta, ma anche del frutto di fragola e pompelmo rosa. Un ottimo corredo olfattivo coerente anche all’assaggio, dove acidità e mineralità diventano protagoniste per un campione fresco-sapido dalla vena agrumata, lontano da ogni banalità e sicuro della propria gentile eleganza.
TITOLO BY AMPHORA. Aglianico del Vulture DOC
2019, 14% vol.
Le sole 933 bottiglie di questa calda annata provengono da lunghe soste in anfora, dove il vino fermenta e poi torna in affinamento per 18 mesi svolgendo anche malolattica.
Una storia che inizia nel 2017 quando le terrecotte provenienti da Impruneta, cotte a biscotto, giungono a Barile per garantire la loro generosa porosità e la migliore micro-ossigenazione, supportando la polimerizzazione dei polifenoli, la decisa evaporazione acquosa e, di conseguenza, il massimo concentrato. Vino dal carattere pronunciato in cui il tannino non accetta molti compromessi.
Granato, irradiato di luce. Subito sulfureo all’olfatto con note che rivelano la terra, l’humus secco, la corteccia e un piacevole profilo boschivo. Man mano la ciliegia e la prugna in confettura si fanno strada articolandosi con dolcezza tra le note più mature del cuoio, del tabacco e del pepe nero.
Personalità, schiettezza e vigore in bocca dove una acidità agrumata si intreccia con il carattere nervoso del tannino, confermando un asse acido-minerale tonico e muscolare.
TITOLO BY AMPHORA. Aglianico del Vulture DOC
2018, 14% vol.
Il clima freddo del 2018 si fa sentire sin dal primo sguardo, quando il colore meno cupo di un granato trasparente svela la vera essenza di un vino di montagna.
Un’insospettabile danza floreale apre la strada ad effluvi eterei, mentre sembrano ritmare a turno petali di rosa e frutta macerata nell’alcol, mela cotogna e liquirizia. Progressione olfattiva sorprendente e incalzante.
L’assaggio gode di rotondità con piacevolissima vena fresca, quasi sorgiva, un tannino che ha maggiore gentilezza, complicità verso toni sapidi e un sussulto agrumato e speziato.
TITOLO. Aglianico del Vulture DOC
2019, 14% vol.
Inconfondibile etichetta bianca e grigia per questo vino di punta, “Titolo”, che pienamente traduce la filosofia aziendale di un “vino moderno ma non modernista”, capace di monetizzare tecniche e tecnologie produttive al solo fine di esaltare tutto quello che il terroir offre per natura.
L’impiego di una diraspatrice in linea, con tappeto di cernita automatica, seleziona gli acini in base alla maturità fenolica, condotti poi interi in acciaio, dove vengono preservati con la loro buccia spessa e croccante, al fine di non eccedere nella produzione di fecce.
Sembra un’eresia per i colleghi del Vulture, ma due sole settimane di macerazione sono più che sufficienti per condurre il vino in acciaio e poi 12 mesi in legno, metà in tonneaux da 500 litri, metà nelle barrique piccole da 200 litri. I legni dalle doghe, spessi oltre 4 centimetri, stringono il contenitore e garantiscono la massima lentezza della micro-ossigenazione così da assicurare stabilità e longevità. Tra i 100 migliori vini italiani per Wine Spectator.
Colore rubino che incede verso il granato integro, pieno, profondo.
Sorprendente giovinezza della sensorialità di fragola e lampone, delicata florealità unita a erbette spontanee che lasciano sul fondo un’idea di tostatura.
L’eleganza del palato sta in una sensazione di velluto dove il tannino ben si amalgama ai guizzi sapidi, confidando nelle apparizioni gustative di liquirizia e balsamico.
TITOLO. Aglianico del Vulture DOC
2018, 14% vol.
I bagliori rubini accendono un granato trasparente e scintillante.
L’olfazione è nobile con note di affumicato e polveri ferruginose che dimorano sul pot pourri e si circondano di spezie, anice stellato e cardamomo.
Il vino appare subito succoso, sapido, quasi ematico, con una stoffa ricamata con i tannini più eleganti.
TITOLO. Aglianico del Vulture DOC
2017, 14% vol.
Profondità e concentrazione esaltano un granato pieno.
Abbrivio di cipria sopra humus, erbe officinali e altri toni erbacei. Naso insospettabilmente giovane che incontra la frutta amara di una marasca e giunge all’arancia sanguinella.
Maestoso in bocca, ancora erbaceo con le sue erbe amare, il rabarbaro, la china. La gittata è così lunga, promette evoluzioni cavalcando un tannino nerboruto.
TITOLO. Aglianico del Vulture DOC
2015, 14% vol.
Granato dominante, fitto, compatto.
Sensazioni olfattive ammalianti, forse le più prossime all’idea di un profilo vulcanico in cui la cenere e il tabacco circondano la confettura di fragola, alcune note campestri e di legno.
In bocca è masticabile, ampio, sempre fresco e dinamico, prorompente nella lunghezza con la grinta del tannino e un finale di liquirizia.
Vino interminabile capace di indugiare e progredire. Mentre appaga, promette.
TITOLO. Aglianico del Vulture DOCG Superiore
2018, 14% vol.
Conferita nel 2013, la DOCG – che all’epoca prevedeva 2 anni di legno e 1 di bottiglia – attualmente ha abbreviato i tempi giungendo ad un totale di soli 2 anni.
Solo 400 le bottiglie di questo Superiore proveniente da vigne molto antiche di oltre sessant’anni e una resa che non supera i 55 quintali per ettaro. Complice fondamentale è il rovere francese dove il vino fa malolattica nelle barrique da 200 litri.
Nobile luminosità del granato. Intrigante sentore di grafite e affumicato con bordure di marasca e viola, erbe aromatiche, spezie e note balsamiche tipiche di un Aglianico paradigmatico.
Perfetto equilibrio gustativo nella coralità delle espressioni, con un tannino assai vellutato e una sapidità sempre appagante. Risuona di liquirizia e frutta matura il finale lunghissimo.
TITOLO. Aglianico del Vulture DOCG Riserva
2017, 14% vol.
Dopo 12 mesi di barrique il vino sosta per ulteriori 24 mesi in tonneaux nuove da 500 litri.
Aristocratico il granato perfettamente integro di questa Riserva.
Curiosa la pera caramellata e le note di ciliegia che aprono l’olfatto verso evolute confetture di mela cotogna e frutta secca accanto a spezie dolci e humus.
Carezzevole al palato con tannino austero e risonante; rivoli freschi e finale maestoso, balsamico e minerale. La memoria cinerea del vino sembra raccordare naso e bocca in un finale interminabile.
SCEG. Aglianico del Vulture DOP
2019, 13,5% vol.
Nel dialetto arbereshe “Sceg” vuol dire “Melograno”, millenario archetipo che simboleggia la rinascita. È il vino ambasciatore dell’Aglianico, soprattutto tra i più giovani. Prodotto a partire dal 2018, proviene da 1,5 ettari di vigneti non di proprietà, gestiti da vignaioli che custodiscono queste piante ultra settantenni che non superano i 45 quintali d’uva per ettaro.
Rubino intenso, nitido, giovane e accattivante alla vista.
Propone al naso una ciliegia sotto spirito coronata di spezie e una evocazione di cioccolato fondente.
Al palato è immediatamente bevibile, educato, equilibrato, soprattutto nel domare il tannino e nel garantire compagnia a tutto pasto.