Ringrazio anche quest’anno gli organizzatori del Dolce Puglia per avermi concesso questo spazio dedicato alla condivisione di esperienze ed informazioni relative alla tutela del brand delle aziende vinicole che affrontano i mercati internazionali.
Rispetto al passato, le piccole e medie aziende italiane del settore del vino sono sempre più attente alla tutela del proprio brand e consapevoli dell’importanza di assumere tutte le opportune tutele legali soprattutto quando operano in Paesi stranieri che spesso hanno cultura, lingua e sistemi giuridici molto distanti da quelli italiani.
Una delle tutele avvertita come fondamentale è quella di registrare il marchio che contraddistingue la propria azienda in tutti i Paesi nei quali si esportano i prodotti. Infatti, sempre più frequentemente mi capita di assistere singole aziende interessate e registrare il proprio marchio aziendale: in Europa, attraverso la registrazione europea che garantisce la tutela nei 28 paesi UE, o anche i Paesi extra-europei, per la maggior parte dei quali è possibile procedere con una registrazione internazionale in base al c.d. Sistema di Madrid, amministrato dall’ OMPI (Organizzazione Mondiale della Proprietà Intellettuale) che consente di scegliere uno per uno i Paesi nei quali si desidera richiedere la registrazione.
E’ quindi una prassi certamente consigliabile a tutte le aziende vinicole quella di registrare il proprio marchio all’estero per affermare sul mercato la propria “identità imprenditoriale” e poter in tal modo fidelizzare sempre di più il consumatore straniero che, riconoscendo la qualità del prodotto, imparerà a “fidarsi” del marchio che lo contraddistingue e a (ri)conoscerlo con sempre maggiore familiarità.
Ma, come spesso accade, in un mercato esasperatamente competitivo, capita di trovarsi in presenza di tentativi di imitazione delle eccellenze, e l’altra faccia del successo di un prodotto è spesso rappresentata dai pericolosi tentativi di imitazione. Ed è anche per questo motivo che il ricorso alle tutele legali è fondamentale.
A tal proposito mi sembra significativo menzionare un caso molto recente che non è riconducibile all’iniziativa di una singola azienda, bensì a quella di un celebre consorzio di tutela italiano, certamente uno dei più storici e potenzi consorzi nel settore del vino, mi riferisco al consorzio del Chianti che ha ben pensato di rafforzare la propria tutela in un mercato difficile come quello cinese, registrando addirittura un marchio in caratteri cinesi che foneticamente richiama molto da vicino il termine “Chianti”. La Cina è un Paese da 1,3 miliardi di abitanti, un bacino potenzialmente enorme di clienti per le aziende che esportano il Made in Italy verso Oriente.
Il marchio vino Chianti docg è stato registrato in caratteri cinesi e verrà utilizzato per le etichette esportate in Oriente da tutte le aziende riconducibili al consorzio. La traslitterazione ha una fonetica molto simile all’originale, e si pronuncia ‘Shiandi’. Nella sua traduzione, il marchio ha un significato positivo e i tre ideogrammi significano Fare – Pace – Radici.
Da un lato si tratta di una operazione, quasi di marketing, che punta ad andare incontro al consumatore cinese che ha una certa difficoltà a pronunciare la parola Chianti e che, certamente, con questa operazione, potrà familiarizzare con più facilità con questa eccellenza italiana.
Si tratta inoltre di un’iniziativa di tutela volta ad impedire agli “imitatori” di potersi avvicinare alla nota indicazione geografica italiana. In Italia ed in Europa, una simile registrazione sarebbe superflua poiché è vietato registrare marchi che in qualsiasi modo possano richiamare le indicazioni geografiche. Invece, in Paesi come la Cina nei quali le indicazioni geografiche del bel Paese non sono riconosciuto, la registrazione del marchio diviene un presidio quasi indispensabile contro le imitazioni.
Salutiamo quindi con estremo favore e interesse questa iniziativa del consorzio toscano che va a beneficio di tutti i produttori e che, quindi, anche sotto questo profilo, rappresenta un esempio estremamente positivo dei vantaggi derivanti dal gioco di squadra.
E concludo osservando che l’auspicio che viene da questa esperienza è quello che tutti i consorzi sempre più e sempre meglio sappiano svolgere il proprio ruolo di promozione e tutela, affiancando le aziende e facilitando con le loro iniziative la presenza e il successo dei prodotti italiani sui mercati internazionali.
Prof. Avv. Domenico Demarinis
Professore a contratto presso UNINT, Diritto della Moda e della Proprietà Industriale